Un’altro tema caldo quando si parla di fotogrammetria da drone è l’utilizzo o meno di GCP.
L’acronimo sta per GROUND CONTROL POINT, che nella nostra lingua si traduce in Punti di Controllo a Terra. Beh non c’è molto da dire!
Eppure l’errore che spesso ricorre tra molti utilizzatori è quello di non utilizzare punti di controllo a terra e affidarsi totalmente al gps del drone.
E’ difficile che un topografo commetta un errore (orrore) di valutazione del genere, ma il mondo è bello perchè vario quindi mettiamo le cose in chiaro.
Come è fatto un GCP? Beh non esiste un modello preciso e il più delle volte viene materializzato sul posto con un oggetto ben visibile oppure si realizzano dei veri e propri target che nei fotogrammi risultino nitidi. Personalmente utilizzo dei pannelli di pvc della dimensione di 50×50 cm di sfondo rosso e un obiettivo a forma di croce bianca. La scelta dei colori non conta, purchè siano ben visibili ad alta quota.
Tendenzialmente il GCP ha l’unico compito di “fissare” un punto battuto da rover gps nei fotogrammi da drone, in modo da calibrare tutto il rilievo nella fase di post processing dei dati.
Inutile dirvi che dopo aver battuto il punto il GCP non deve muoversi di un millimetro!
E se un “passante” lo sposta (o lo porta via) ? Beh dovete augurarvi in certi casi che il volo da drone abbia anticipato lo spostamento o il furto (a me è successo) del GCP perchè altrimenti avete perso un target sia fisicamente che nell’ elaborazione.
Il consiglio più ovvio è quello di piazzare i target in zone poco trafficate (in modo da non intralciare la circolazione di persone e veicoli riducendo il rischio di interferenze) e cosa più importante di prevedere quanti più GCP possibili sparsi in maniera equa su tutta l’area di missione.
Personalmente su un area di 50 ettari io ne metto almeno 10 di target (facendo attenzione a coprire tutta l’area di volo e piazzandoli nei punti di maggior differenza di quota) oltre ad altri punti di quota o d’interesse che batto con il mio rover GPS.
Il processamento dei GCP è molto semplice! Una volta assemblati i primi dati rilevati da drone e aver ottenuto un ortomosaico anche a bassa qualità, si procede alla calibrazione dei punti mediante l’inserimento del file .txt nel vostro software (io utilizzo PhotoScan – Metashape) che aprirà un interfaccia grafica simile a quella della georeferenziazione.
In sostanza il software vi mostrerà dove sono materializzati i vostri punti GPS nel rilievo (ovviamente ci sarà un distaccamento tra il punto e il target nella foto notevole) chiedendovi di “fissare” nei singoli fotogrammi disponibili la posizione del vostro GCP.
Man mano che i fotogrammi vengono istruiti alla posizione corretta del punto, il modello viene aggiornato e calibrato fino ad ottenere una sovrapposizione netta tra il punto GPS e l’immagine del vostro TARGET.
Tranquilli, è più facile a farsi che a dirsi!